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Principessa India d’Afghanistan si racconta in «Scritti di donne»

08-06-2022 12:42 - Persone
La principessa India d’Afghanistan La principessa India d’Afghanistan
La principessa India d’Afghanistan con Hamid Karzai La principessa India d’Afghanistan con Hamid Karzai
La principessa India d’Afghanistan La principessa India d’Afghanistan
La regina Sorahya d’Afghanistan La regina Sorahya d’Afghanistan
GD – Roma, 8 giu. 22 – Da molti anni ha trovato ospitalità in Italia una testimone della storia contemporeanea nell’importante scacchiere Medio-orientale. La principessa India d’Afghanistan, della casa reale di Mohammadzai-Tarzi, vive a Roma oramai da diversi anni. A raccontare il suo vissuto è stata la prof. Stefania Macioce, docente di storia dell’arte alla Sapienza Università di Roma, che ha curato il libro «Scritti di Donne – 40 Studiose per la storia dell’Arte», pubblicato da EtGraphiǽ nell’ambito de «I quaderni di aboutArtonline», presentato oggi a Bologna.
Questa la parte del libro con la conversazione che Stefania Macioce ha avuto con la principessa India d’Afghanistan, da cui emerge uno spaccato storico e umano, ma anche socio-politico di grande rilievo. Ma emergono anche interessanti curiosità, come quando la principessa, smontando un'informazione diffusa, dice che il burqa imposto alle donne dai Talibàn «non è un indumento afghano e non è nemmeno un indumento islamico».

L’ho incontrata alcune volte in passato e le ho chiesto di ricevermi. Si ricordava di me e, soprattutto, dei miei genitori. Mia madre era infatti in rapporti di amicizia con la sorella e io giocavo con la nipote. Mi ha ricevuta nella sua casa romana in Prati, dove vive da tempo. Abbiamo potuto parlare a lungo principalmente di sua madre, la regina Sorahya (ma si pronunzia Soraiò) che in Afghanistan ha svolto un ruolo fondamentale per l’emancipazione della donna.
La principessa India d’Afghanistan India è stata sposata due volte e ha due figlie (dal primo matrimonio) e un figlio (dal secondo matrimonio). È nata nell’ospedale di St.George a Bombay, nell’India allora Britannica, il 14 gennaio 1929, appena cinque mesi dopo l’abdicazione di suo padre; il nome le fu dato in onore del Paese in cui la famiglia reale fuggì in esilio. Su invito della regina Elena d’Italia, i reali si stabilirono infine a Roma, dove la principessa vive tuttora. La formazione della giovane principessa è avvenuta in Europa poiché ha studiato in Svizzera alla Pension Marie-José a Gstaad e poi alla Pontificia Università Gregoriana a Roma. Nel settembre 2011, Indiad’Afghanistan è stata premiata dall'Associazione delle Donne Afghane-Americane per il suo lavoro in difesa dei diritti delle donne e nel 2012 Radio Azadi (Radio libera afghana) l’ha nominata “Persona dell’Anno” per il suo impegno umanitario, cominciato con la sua prima visita nel Paese nel 1968 con l’istituzione di un’opera di beneficenza per i bambini afghani.
Negli anni 2000, la principessa India ha fondato la Mahmud Tarzi Cultural Foundation (MTCF) a Kabul, di cui è vicepresidente dal 2010; nel 2006 è stata nominata Ambasciatrice culturale in Europa dal presidente afgano Hamid Karzai, per l’impegno verso il suo Paese attraverso conferenze in tutta Europa. Nell'agosto 2019, la principessa è stata invitata dal Governo afghano a partecipare alle celebrazioni dello Stato per il 100° anniversario dell’indipendenza dell'Afghanistan.
I ricordi di India d'Afghanistan, si ricongiungono alla nave che nel giugno del 1929 la trasportò da Bombay in Italia. Con lei c’erano i genitori: la regina Sorahya e il re Amānullāh Khān. Quest’ultimo dopo dieci anni di potere e di importanti riforme, venne contestato dalle opposizioni dei mullah conservatori.
Il sovrano, o meglio l’emiro (nella lingua afghana significa re), Amānullāh Khān nell'agosto del 1919 aveva ottenuto l'indipendenza dagli inglesi e, come sua moglie, aveva avuto un’impostazione politica progressista, con una mentalità aperta alle riforme ed era determinato a conseguire il miglioramento del suo Paese.
India ha ora 92 anni, portati splendidamente. Ha un tratto elegante e una calibrata fierezza propria della sua etnia Pashtun che, come mi racconta lei stessa, ha questo elemento distintivo, unito a un’ascendenza ebraica, di cui però pochi sanno.
India conserva molte foto della sua famiglia, attentamente divise, come lei stessa chiarisce: «Mio padre e mia madre vengono dallo stesso gruppo familiare. La parte materna era composta da letterati, poeti, scrittori; quella paterna da guerrieri». Sul lato destro, una foto in bianco e nero raffigura il nonno paterno, Mahmoud Tarzi, innovatore rivoluzionario che si occupava di letteratura, giornalismo e politica; egli frequentava con assiduità Istanbul, città europea, i balletti di Parigi, le opere di Giuseppe Donizetti, fratello di Gaetano. A Istanbul Mahmoud Tarzi elaborò una forma peculiare di nazionalismo afgano «in anticipo rispetto ai 'giovani turchi' e ad Atatürk». Il suo orientamento ‘moderno’ svolse un’influenza significativa sul futuro genero, re Amānullāh Khān.
L’unione tra i due rami familiari «ha dato buoni frutti», afferma India aggiungendo: «Mia madre, la regina Sorahya, aveva un tratto dolce, ma era determinata e poco incline ai gesti affettuosi. Una mamma-maestra», la sua infatti era principalmente una vocazione pedagogica.
Il radicalismo riformatore di Amānullāh Khān, le modifiche all’apparato legislativo e amministrativo, i costumi liberali avrebbero determinato però l’opposizione dei conservatori, critici nei confronti delle sue aperture verso la Russia, particolarmente malviste dall’India britannica tanto che il celebre Lawrence d’Arabia collaborò con la RAF (Royal Air Force) dal 1928 al 1929, fomentando gli oppositori in occasione della sua sosta nella cittadina di Miran Shah, l’attuale Waziristan del nord, in Pakistan, proprio a ridosso della frontiera afghana. Nei villaggi l’opposizione fece circolare fotomontaggi della regina il cui volto appariva su un corpo nudo, e questo era chiaramente un indice di una sistematica operazione di sabotaggio nei confronti dei reali. Tutto questo costrinse infine re Amānullāh Khān, salito al potere a 27 anni il 28 febbraio 1919, ad abdicare il 14 gennaio 1929. Egli si ritirò con la sua famiglia dapprima a Kandahar, poi in India e infine in Italia.
«Mia madre mi raccontava che era stata la regina Elena a inviarle un telegramma invitando lei e la famiglia in Italia», racconta India e del resto i rapporti con i Savoia "erano ottimi". Il re e la regina Sorahya sono vissuti a Roma fino alla morte, rispettivamente 1960 e nel 1968 quando, come racconta India, «sono andata per la prima volta in Afghanistan accompagnando il feretro di mia madre». Ed è di questa regina che vorrei parlare con la principessa India che sottolinea come sua madre sia stata una figura molto rilevante per la storia dell'Afghanistan contemporaneo, almeno fino all’ultimo rientro dei Talibàn: i suoi successi furono altamente apprezzati dagli afgani, come pure i suoi discorsi poiché: «ha incoraggiato le donne afghane a diventare indipendenti, a imparare a leggere e scrivere».
* Stefania Macioce: Principessa India ci parli di sua madre e del suo ruolo nella storia delle donne in Afganistan.
Principessa India d’Afghanistan: «Mia madre si chiamava Sorahya Tarzi ed era nata alla fine dell’800, a Damasco, in Siria, allora parte dell’Impero Ottomano,. Fu istruita da suo padre, Mahmud Beg Tarzi, leader politico intellettuale afghano; sua madre Asma Rasmya Khanum, seconda moglie di suo padre, era figlia dello sceicco Muhammad Saleh al-Fattal Effendi di Aleppo, muezzin della moschea degli Omayyadi. Sorahya studiò in Siria, apprendendo nella sua famiglia, specie dal padre, valori occidentali e moderni che avrebbero influenzato le sue azioni e credenze future. Mio nonno Habibullah Khan (padre del suo futuro marito Amānullāh Khān) nell'ottobre 1901 diede uno dei suoi contributi più importanti alla nazione afghana facendo rientrare gli esuli afghani e, quindi, anche la famiglia Tarzi».
Sarebbe stata proprio la famiglia Tarzi (ossia quella della madre di India) a promuovere, attraverso il re, la modernizzazione dell'Afghanistan. Al rientro in Afghanistan, Sorahya Tarzi avrebbe incontrato e sposato il re Amānullāh Khān, la famiglia Tarzi era infatti ricevuta alla corte dell'Amir Habibullah Khan: «È lì che mia madre incontrò il principe Amanullah, figlio del re. Dapprima non le piacque: «non mi piace, ha le orecchie grandi» disse. Ma poi i due trovarono una grande affinità». Da principessa Sorahya trascorreva molto tempo nel giardino reale che successivamente fu diviso in tre parte di cui una fu regalata alla Russia, che rifiutò, due terzi andarono quindi alla Turchia e un terzo all’Iran; in questo grande giardino la principessa India ricorda di aver piantato un platano.
L’allora principe, simpatizzante delle idee liberali di Mahmud Tarzi, sposò Sorahya Tarzi, il 30 agosto 1913 nel palazzo Qawm-i-Bagh a Habul: il matrimonio fu felicissimo, in 14 anni nacquero 10 figli di cui sopravvissero 6 figlie femmine e 4 maschi. Una prima nota importante: Sorahya Tarzi sarà l'unica moglie del futuro re Amānullāh Khān, colui che quindi ruppe secoli di tradizione e divenne una delle figure più importanti della regione, da re - racconta India: «voleva sincerarsi personalmente dello stato della sua popolazione e, la sera vestito come un uomo qualunque, andava nelle case per chiedere cosa mancava, una volta regalò le proprie scarpe ad un calzolaio che faceva solo sandali e che probabilmente non aveva visto altro, per avviarlo alla produzione di vere scarpe, e rientrò a palazzo in sandali destando stupore».
Quando il principe divenne Amir nel 1919 (sarà re fino al 1929), la regina sebbene giovanissima, ebbe un ruolo influente nell'evoluzione del Paese: «Mia madre, infatti, è stata la prima consorte musulmana a comparire in pubblico insieme a suo marito, un fatto del tutto inedito per l'epoca. Con lui partecipò a battute di caccia, a passeggiate a cavallo e persino ad alcune riunioni di gabinetto. Come regina consorte del regno d’Afghanistan fu lei a svolgere un ruolo rilevante nelle riforme di modernizzazione intraprese dal re Amānullāh Khān, in particolare per quanto riguardava l'emancipazione delle donne e i loro diritti».
Il re Amānullāh Khān formulò, infatti, la prima Costituzione, ponendo le basi per la struttura formale del Governo e stabilendo il ruolo del monarca all'interno del quadro costituzionale; fu sotto il suo governo che l’Afghanistan ebbe il primo ufficio postale, la prima emittente radio e fu avviata la canalizzazione (oggi purtroppo le fogne sono ancora a cielo aperto), il primo museo archeologico, i primi laboratori di falegnameria, tessitura di cotone. e lana. Egli si era confrontato con Mahmoud Tarzi seguendone gli incoraggiamenti: questi del resto che con il suo personale esempio di scelta monogamica, influenzò profondamente i cambiamenti relativi al mondo femminile: «Sua figlia, ovvero mia madre, la regina Sorahya Tarzi, fu il volto di questo cambiamento. Inoltre un’altra figlia di Tarzi sposò il fratello di mio padre Amānullāh Khān. Un’ideologia intellettuale aperta e liberale fu, dunque, alla base della politica culturale del regno di mio padre, che fece una campagna pubblica contro il velo per le donne e contro la poligamia, promuovendo l’istruzione femminile non soltanto a Kabul, ma anche nelle campagne. Nel processo di emancipazione delle donne i membri della famiglia reale, in particolare sua moglie e le sue sorelle, fungevano da modelli di questo cambiamento prendendo parte pubblicamente a organizzazioni e divenendo in seguito funzionari governativi. Mia madre Sorahya fu determinante nell’imporre il cambiamento esortando pubblicamente le donne a partecipare attivamente alla costruzione della nazione».
Nel 1921 la regina Sorahya fondò e contribuì alla prima rivista per donne, «Ishadul Naswan» (Guida per le donne), curata da sua madre: «e mio padre a cavallo andava a trovarla alla sede del giornale» racconta sorridendo India. E fu ancora la regina Sorahya a dare vita alla prima organizzazione femminile intitolata Anjuman-i Himayat-i -Niswan, (Associazione per la protezione delle donne) che promuoveva il benessere femminile e aveva un ufficio nel quale le donne potevano denunciare i maltrattamenti subiti da mariti, fratelli e padri.
Fu ancora la regina Sorahya a fondare nel 1924 il primo ospedale per le donne, il Masturat indirizzando le ostetriche alla formazione di una scuola per infermiere; nella cittadina di Paghman la famiglia reale aveva fondato un teatro nel 1920 che offriva alle donne l'opportunità di trovare una propria scena sociale e rompere l'isolamento dell'harem, e qui successivamente la regina Sorahya fece costruire una clinica per bambini tubercolotici.
Come riferisce la principessa India: «Tra le dichiarazioni del re mio padre spicca quella che mette bene in luce il ruolo di mia madre: “Io sono il vostro re, ma il ministro dell'Istruzione è mia moglie, la vostra regina”». La regina Sorahya per suo espresso desiderio divenne infatti Ministro dell’Educazione: «Fu proprio mia madre- racconta India- a incoraggiare costantemente le donne a ricevere un'istruzione: nel 1921, infatti, aprì la prima scuola elementare femminile a Kabul, la Masturat (in seguito Ismat Malalai), frequentata dalle sue due figlie maggiori che secondo la severa volontà di mio padre che non voleva alcuna differenziazione, andavano a piedi come le altre, solo in inverno a cavallo; il primo anno si iscrissero alla scuola 12 ragazze ,il secondo 300 e due anni dopo 600; con il fine di ampliare e sostenere l’educazione del Paese, mio padre inviò 80 giovani scolari a studiare in Europa: 15 frequentarono accademie e scuole in Turchia; 30 a Berlino- tra i quali il futuro marito di India-, 34 a Parigi e 1 negli Stati Uniti».
Nel 1926, in occasione del settimo anniversario dell'indipendenza dagli inglesi, la regina Sorahya tenne un discorso pubblico in cui dichiarava: «tutti dobbiamo contribuire allo sviluppo della nostra nazione e […] tutti debbono cercare di acquisire quanta più conoscenza possibile, in modo da poter rendere i nostri servizi alla società alla maniera delle donne del primo Islam», l’indipendenza dunque appartiene a tutti e l’Afghanistan non ha bisogno solo di uomini, ma anche di donne in quanto parte viva e attiva della nazione e dell’Islam: Questo concetto di uguaglianza è espresso – come mi fa notare la principessa India - anche nel migliore ospedale di Kabul, dove vicino all’immagine di Avicenna, figura un rilievo di marmo che riproduce due pagine del Corano, ove si afferma che la conoscenza scientifica deve essere perseguita da uomini e donne.
«Nel 1928 mia madre», racconta India, «inviò quindici giovani donne diplomate alla scuola media di Masturat, quella da lei fondata, in Turchia, Stato con cui l’Afghanistan ha sempre avuto rapporti molto stretti, per accedere a un'istruzione superiore».
Nelle sue memorie la scrittrice svedese Rora Asim Khan, che tra il 1926 e il 1927 visse in Afghanistan, narra di quando fu invitata da mia madre a Paghman e a Darullaman per descrivere lo stile di vita e la moda occidentale alla regina e alla madre del re. La scrittrice notò che la regina poneva molte domande, poiché come riporta India: «Tra il 1927 e il 1928, visitò l'Europa con mio padre. Durante questo viaggio mio padre e mia madre furono accolti molto positivamente in Inghilterra dove, nel 1928, considerati promotori di valori occidentali illuminati, ricevettero entrambi una laurea honoris causa dall’Università di Oxford. L’Afghanistan, del resto, era uno Stato importante sotto il profilo della strategia diplomatica in quanto era posto tra l'impero indiano-britannico e le ambizioni sovietiche. E in questo contesto mia madre si intrattenne a lungo con un folto gruppo di studenti e leader».
* Stefania Macioce: Un simbolo della donna musulmana è il velo. È un emblema religioso, che sembra connotare la donna in un ruolo più passivo, se non di sottomissione. Cosa ne pensa?
Principessa India d’Afghanistan: «Mio padre Amānullāh Khān sosteneva i diritti delle donne all'istruzione e all'uguaglianza affermando che ”l'Islam non richiede alle donne di coprire il proprio corpo o indossare alcun tipo speciale di velo”. Lo svelamento delle donne è stata una parte controversa della politica di riforma. Le donne della famiglia reale vestivano già secondo i costumi occidentali prima dell'adesione di Amānullāh, ma lo facevano solo nel chiuso del palazzo reale e si coprivano sempre con un velo quando lasciavano l'area privata per andare in pubblico. Mia madre durante il suo regno indossava cappelli a tesa larga con un velo diafano attaccato ad essi. Il 29 agosto 1928 mio padre, re Amānullāh Khān, tenne una grande assemblea degli anziani Tribali, per approvare i suoi programmi di sviluppo. I 1100 delegati dovevano indossare abiti europei forniti loro dallo Stato e in questa occasione chiese a sua moglie Sorahya di togliersi il velo. Al termine del discorso, mia madre si strappò il velo (hijab o velo, la cui radice in arabo indica rendere invisibile, celare allo sguardo, nascondere, coprire) in pubblico e le mogli di altri funzionari presenti all'incontro seguirono il suo esempio. E ancora dopo questo evento mia madre apparve in pubblico senza velo e le donne della famiglia reale e le mogli dei dipendenti del Governo seguirono il suo esempio».
A Kabul questa politica fu applicata anche riservando alcune strade a uomini e donne vestiti con abiti occidentali moderni. Ovviamente i conservatori si opposero allo svelamento gridando allo scandalo e cominciarono a mobilitare l’opinione pubblica. Nonostante altri Stati come la Turchia, l’Iran e l’Egitto avessero già intrapreso una politica di occidentalizzazione, per l’Afghanistan tale fondamentale processo era forse troppo in anticipo sui tempi. Non soltanto i musulmani conservatori si opponevano ai cambiamenti, ma si fece strada il pensiero che l’opposizione fosse alimentata dagli agenti britannici: nelle regioni tribali dell'Afghanistan furono distribuite pubblicazioni internazionali che mostravano Sorahya senza velo, mentre cenava con uomini stranieri e mentre leader di Francia, Germania e di altri Paesi d’Europa, le baciavano la mano.
Gli inglesi, del resto, riferisce India, «non avevano un buon rapporto con la famiglia di mia madre, perché il principale rappresentante dell'Afghanistan con cui si erano rapportati era suo padre, Mahmud Tarzi. Fu così che i conservatori afghani e i leader regionali interpretarono erroneamente le immagini e i dettagli del viaggio della famiglia reale in Europa come un flagrante tradimento della cultura, della religione e dell'onore delle donne afghane. Il che naturalmente non corrispondeva alla verità, anzi».
Nel suo racconto India ha specificato inoltre che il burqa imposto alle donne dai Talibàn «non è un indumento afghano e non è nemmeno un indumento islamico».
* Stefania Macioce: Come sono i suoi rapporti con l’Afghanistan?
Principessa India d’Afghanistan: «Negli anni 2000 ho visitato ripetutamente l'Afghanistan e ho avviato diversi progetti di beneficienza e, come ambasciatrice culturale onoraria dell'Afghanistan in Europa, seguo costantemente gli avvenimenti del mio Paese. Prima del ritorno dei Talibàn ho spesso verificato di persona dove costruire i pozzi dedicandomi alla raccolta di fondi. Ho portato con me fino a 600-700 chili di beni di ogni genere per la popolazione. Mi sono occupata molto delle scuole fondate da mia madre. La soglia di povertà nel Paese era già molto alta prima del rientro dei Talibàn (circa il 72% della popolazione) La situazione attuale è purtroppo drammatica».

Prof. Stefania Macioce


Fonte: Stefania Macioce
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