Russia: un’economia ormai in caduta libera

11-04-2025 17:18 -

GD – Mosca, 11 apr. 25 - Giorni fa la giornalista di una televisione ucraina affermava: «La Russia sta facendo oggi il suo secondo errore fatale: il primo è stato quello di iniziare la guerra in Ucraina, l’errore attuale consiste nel non porvi fine». È ormai chiaro, infatti, che Putin non è intenzionato a intavolare seriamente trattative che portino a una qualche forma di tregua globale, se non di pace duratura. Eppure, analizzando la situazione economica del Paese, i motivi che dovrebbero spingere in questa direzione sono oggi numerosi.
Al di là dei mascheramenti e della dezinformatsia ufficiale, infatti, nello stato attuale dell’economia russa si possono ormai cogliere indicatori di un cambiamento epocale. Vediamone alcuni: se è vero che segni di declino, soprattutto nel settore civile, si potevano riscontrare già a partire dalla scorsa estate, nel febbraio del 2025 i dati del Ministero dell’Economia hanno registrato ufficialmente l’annullamento della crescita della produzione industriale (la variazione è di poco superiore allo zero). È la prima volta in due anni che ciò si verifica e il dato, sintetico, copre ovviamente le perdite nette di diversi settori dell’economia nazionale. Non disponiamo di dati aggiornati con maggior livello di disaggregazione, ma non è azzardato supporre uno iato crescente tra l’andamento del settore militare e quello dell’economia civile, sulla quale si sono sempre ‘scaricati’ i maggiori costi di produzione, indotti ora anche dalle sanzioni occidentali.
In congiunzione con la sostenuta inflazione che caratterizza soprattutto i beni di consumo (ufficialmente appena sopra il 10%, ma molti la stimano a più del doppio), il dato sulla caduta produttiva fa ormai parlare apertamente di uno stato di stagflazione. La parola, che per anni è stata uno spauracchio addirittura impronunciabile, circola ora apertamente sia tra i manager delle imprese che tra gli economisti ufficiali, che danno il fenomeno come acquisito. Su questa base, qualche giorno fa Elvira Nabyullina, governatore della Banca Centrale di Mosca, ha affermato con decisione che la stagflazione esistente può essere vinta solo al prezzo di una ‘recessione profonda’. Ricordiamo per altro che l’ufficio studi della Banca Centrale avverte da tempo sul rischio di un forte rallentamento dell’attività in molti settori, qualificando in negativo la ventilata necessità di un ‘raffreddamento’ dell’economia del Paese (di cui infine ha parlato, recentemente, anche Putin).
La gravità dello stato dell’ economia russa è stata sottolineata anche dal rigoroso Centro di Analisi Macroeconomica e di Previsioni a Breve (ZMAKP), diretto fino a poco tempo fa da Andrei Belousov, attualmente Ministro della Difesa e uno tra i più stimati economisti del Paese. Uno studio del Centro ha rilevato la brusca caduta della produzione industriale a partire dal mese di gennaio e, accostando a questo dato quelli relativi agli alti tassi di indebitamento e alla bassa profittabilità delle imprese, è arrivato a riconoscere pubblicamente che il Paese si trova oggi di fronte al rischio di un aumento ‘pesante’ di fallimenti societari.
Ancora più ‘scandalosa’ (così è stata definita) è apparsa una recente intervista a Konstantin Babkin, uomo politico a capo di una grossa holding economico-finanziaria, il quale ha riconosciuto apertamente che da quando sono partite le sanzioni non si è avuta una crescita reale della produzione industriale russa, con l’eccezione di alcuni settori della difesa. Secondo Babkin, ciò è dovuto in primo luogo al carattere erratico della sistema fiscale, che ha l’effetto di sopravvalutare il valore degli input produttivi e, quindi, di elevare molto i costi di tanti prodotti, che sono a volte del 30-40% più sostenuti di quelli rilevati in Asia e in Europa. Vale appena la pena di ricordare, in passim, che queste parole riproducono alla lettera una delle critiche più diffuse che venivano rivolte all’ economia sovietica.
In conclusione, anche dalle poche cose riportate appare chiaro che l’economia della Federazione Russa (sempre più ‘economia di guerra’) attraversa oggi uno stato di crisi profonda, che abbraccia ormai - oltre alla produzione industriale - anche quella agricola e il settore dei trasporti.
Come notato dalla giornalista ucraina, la pesante stagnazione attuale per ora non ha portato la leadership del Paese, irrigidita da lotte di potere fra clan diversi, a più miti consigli. Ci si può domandare, a questo punto, se a un risultato del genere si perverrà a seguito dello sconvolgimento nel commercio mondiale provocato dalle scellerate riforme trumpiane.
La Russia, come noto, è stata ‘graziata’ nella pesante catena di dazi commerciali riservati a circa 180 Paesi. C’è, però, un altro aspetto della questione a cui bisogna fare attenzione, e che può impattare pesantemente sulla situazione del Paese: ci riferiamo alla caduta del tasso di attività dell’economia mondiale a cui molto probabilmente assisteremo a seguito della ‘deglobalizzazione’ trumpiana. Come noto, in situazioni di crisi produttiva, e cioè di cali generalizzati della domanda, diminuiscono anche gli acquisti di materie prime, e con essi il loro prezzo. Per la Russia il fenomeno riguarda in primis il prezzo del petrolio, le cui esportazioni costituiscono da sempre la principale fonte di alimentazione del bilancio statale. Il future sul Brent ha sforato recentemente la soglia dei 60 dollari, e il trend continua a restare in discesa. Tale andamento rischia di avere conseguenze molto pesanti per l’economia del Paese: non a caso l’ultima analisi della Banca Centrale russa, resa nota alla fine della settimana scorsa, prevede ora per la fine di quest’anno, nello scenario ‘a rischio’ - cioè con il Brent che si attesta sui 55 dollari -, un calo del Pil pari al 3-4%, e un aumento dell’inflazione fino al 15%. La Banca dovrà, quindi, presumibilmente aumentare il tasso di riferimento (ora fermo al 21%) fino al 22-25%, mentre si pronostica (ma la cosa non sorprende) un calo sostenuto del consumo.
Servirà tutto questo a impedire il ‘secondo errore fatale’ di Putin? Purtroppo, e malgrado tutto, ci sono motivi per dubitarne.

Prof. Stefania Jaconis
Docente di Sistemi Economici Comparati


Fonte: prof. Stefania Jaconis