16 Luglio 2024
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Myanmar, la guerra dimenticata

18-06-2024 15:06 - Opinioni
GD - Roma 18 giu. 24 - Sono ormai passati tre anni dal colpo di stato in Myanmar che ha portato al potere la giunta del generale Min. Ma ad oggi l’unica zona del Paese realmente sotto il governo dei militari rimane la capitale Naypyidaw, mentre nel resto della nazione aumentano progressivamente le aree controllate dai gruppi democratici e dalle milizie di matrice etnica. Come si è arrivati a questa situazione?
Nella sua travagliata storia il Myanmar non è certo estraneo ai regimi militari, essendo stato governato in tale maniera dal 1962 al 2011, anno in cui questi avviarono il processo di democratizzazione del Paese. Nonostante ciò, il primo febbraio del 2021 il Myanmar è stato il teatro di un colpo di stato orchestrato dalle forze armate con l'intento di sovvertire l'esito delle elezioni parzialmente libere dell'anno precedente, che avevano determinato il trionfo della National League for Democracy (NLD).
I militari sono stati mossi dal timore che il risultato della consultazione elettorale potesse consolidare a tal punto il potere della NLD da mettere in discussione il loro controllo sulla nazione. L’ascesa di questo partito, guidato da Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991, che in origine rappresentava la speranza di un futuro democratico, non ha in realtà determinato la compiuta democratizzazione del Paese.
Al contrario ha limitato istituti democratici fondamentali come la libertà dei media e ha difeso le azioni spesso brutali dell'esercito, minimizzando i massicci abusi delle forze armate contro la minoranza etnica dei Rohingya. Tuttavia, riusciva a mantenere la pace all’interno dei confini, attraverso accordi con le milizie etniche e rappresentava un’alternativa democratica, seppur imperfetta, al regime dei militari.
Le reazioni della comunità internazionale sono state variegate e confermano le divisioni al suo interno. Il campo occidentale ha immediatamente condannato il colpo di stato e introdotto delle “smart sanctions”, anche se nelle fasi successive del conflitto ha mantenuto un basso profilo diplomatico. Al contrario, Pechino e Mosca hanno immediatamente riconosciuto la giunta militare e offerto la loro protezione a livello internazionale, a cui è seguita la fornitura di armamenti da parte del Cremlino.
La Cina ha invece sfruttato il colpo di stato per riprendere lo sviluppo del corridoio economico Cina-Myanmar, ottenendo così un importante via d’accesso all’oceano Indiano. Infine, il gruppo ASEAN ha riconosciuto la giunta militare e al contempo ha cercato di mediare una soluzione pacifica alla crisi su mandato del consiglio di sicurezza dell’ONU.
Subito dopo il colpo di Stato in diverse regioni del Myanmar sono nati numerosi gruppi di opposizione al regime. All'inizio la protesta si è svolta in modo pacifico ed era volta a favorire il ritorno al potere del Governo legittimo. Parallelamente, i legislatori della NLD, i leader delle proteste e gli attivisti dei vari gruppi minoritari hanno costituito un Governo alternativo noto come Governo di Unità Nazionale (NUG).
Quest'ultimo si prefiggeva di unire le varie fazioni contrarie alla giunta, promuovere l'unità tra i diversi gruppi etnici, sviluppare un'agenda per il Myanmar post-golpe e ottenere il sostegno dei governi stranieri. Il NUG ha quindi deciso di dichiarare guerra alla giunta, in risposta ai gravi abusi commessi dall’esercito regolare, e ha costituito la cosiddetta Forza di Difesa del Popolo (PDF), trasformando la protesta in un conflitto armato dal carattere asimmetrico.
Gli scontri, inizialmente limitati alle regioni di confine, si sono progressivamente estesi alle zone centrali del Myanmar andando a colpire importanti centri urbani quali Mandalay e Yangon.
Al PDF si affiancano numerose milizie etniche, il cui numero complessivo raggiunge la ventina. Alcune di queste hanno condotto azioni ostili al governo centrale sin dall’indipendenza del Myanmar, per rivendicare una maggiore autonomia soprattutto nelle regioni frontaliere. Questi gruppi armati hanno messo da parte annose rivalità pur di combattere la giunta militare e secondo alcune stime risalenti al 2021 potevano contare su circa 75.000 uomini.
Se all’inizio del conflitto sembrava improbabile una vittoria delle forze antigovernative, ad oggi lo scenario è drasticamente mutato. Le tattiche brutali e inefficaci adottate dall’esercito regolare hanno permesso ai ribelli di addestrarsi e contestualmente hanno alienato alla giunta il supporto sia dei coscritti sia della popolazione civile in favore degli insorti. Questo ha comportato un deterioramento del morale nei ranghi dell’esercito e un generale indebolimento delle forze armate, a cui si accompagnava una situazione logistica drammatica.
Un articolo del Washington Post rivelava che i soldati ricevevano razioni prive delle calorie necessarie alla sopravvivenza, erano sprovvisti di un equipaggiamento adeguato e non potevano comunicare con le loro famiglie. Secondo alcune analisi le forze armate del Myanmar si sarebbero contratte da un numero iniziale di circa 350.000 uomini agli attuali 70.000 operativi ed avrebbero ad oggi il controllo solo di un quinto del Paese.
La situazione non migliora se si considera il lato finanziario e amministrativo, invero la giunta è sull’orlo della bancarotta e sono stati rivelati episodi di corruzione. L’avvicinamento al confine thailandese, attraverso la conquista di Myawaddy, sembrerebbe essere uno degli obiettivi bellici dei ribelli. La sua vicinanza alla frontiera e il passaggio della Asian Highway 1, l’autostrada che congiunge i due Paesi, rendono questa città fondamentale per la consegna degli aiuti occidentali. Un prolungato sostegno ai ribelli, affiancato alla riduzione del supporto russo al regime, impegnato in Ucraina, potrebbero essere gli elementi decisivi per la definitiva caduta della traballante giunta militare. A questo si aggiunge una Cina sempre più esitante nel suo sostegno a causa dell’incapacità della giunta di controllare il crimine organizzato al confine, una situazione che sta generando sempre più dissenso nelle province cinesi adiacenti.
Il prospettato crollo del regime potrebbe comportare ulteriore caos nel paese vista la molteplicità degli attori coinvolti e le tensioni esistenti. Il NUG, che sembra essere l’attore più accreditato a gestire questa complessa situazione, potrebbe incontrare delle difficoltà a causa delle rivendicazioni delle milizie etniche e della complicata situazione socioeconomica.
In questo contesto è fondamentale che gli stati occidentali tornino a giocare un ruolo di primo piano per favorire la costituzione di un governo rappresentativo e democratico. La democratizzazione del Paese assume ulteriore rilevanza alla luce della collocazione geografica del medesimo, in quanto potrebbe invertire la regressione democratica che ha segnato l’ultimo decennio nella regione. Inoltre, potrebbe essere una nazione amica in un’area sempre più oggetto della competizione geopolitica fra Stati Uniti e Cina.
In conclusione, è dunque di vitale importanza che la comunità internazionale lavori per promuovere una soluzione sostenibile per il popolo birmano ed eviti il definitivo fallimento dello stato del Myanmar.

A cura di Francesco Oppia
Mondo Internazionale Post


Fonte: Mondo Internazionale Post
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