16 Luglio 2024
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Giornata per la Giustizia Penale: perché riaffermare lo Statuto di Roma

15-07-2024 15:19 - Opinioni
GD – Roma, 15 lug. – Mercoledì 17 luglio si celebra la Giornata Mondiale per la Giustizia Penale internazionale. «Quale messaggio manda un Paese che bombarda un ospedale pediatrico? In quale momento un generale, un capo di stato maggiore o un presidente possono decidere che è consentito lanciare un missile contro una struttura medica che cura bambini malati di cancro?»: la domanda che un osservatore - Pierre Haski, “France Inter” - si pone dopo il bombardamento sul grande ospedale pediatrico di Kyïv ha un senso retorico e tragico, che richiede solo una risposta: i responsabili di quelle atrocità - come delle esecuzioni di Bucha, delle torture e delle decapitazioni dei soldati ucraini e degli altri bombardamenti indiscriminati sulle città dell'Ucraina - devono rispondere davanti alla comunità internazionale di crimini di guerra e contro l'umanità. Altrettanto va detto per i carnefici dei1200 israeliani massacrati il 7 ottobre a Gaza e per l'irresponsabile reazione di Israele che ha causato 40.000 vittime civili tra i palestinesi. E ciò vale anche per la violenza che colpisce le democrazie, come gli attentati alle personalità politiche: quelli al candidato Trump e al presidente sloveno Fico sono altri esempi della inquietante deriva di un processo di “disumanizzazione” che alimenta pure farneticanti pulsioni individuali.
È dunque un anniversario che rileva sullo spirito dei tempi questo 17 luglio dedicato alla Giornata Mondiale per la Giustizia Penale Internazionale: si evoca il 17 luglio 1998, un momento straordinario in cui fu approvato lo Statuto di Roma che affermava principi universali a tutela dell'umanità, ponendo le basi per l'istituzione della Corte Penale Internazionale. Sul tema non saranno mai esaustive le riflessioni per sottolineare il senso di quei valori e principi giuridici universali che venivano da molto lontano, non per ultimo dal pensiero filosofico di Emanuele Kant, che ispirava al cielo stellato dell'universo la «legge morale dentro di sé».
L'idea di una Corte penale internazionale - dal carattere permanente e universale - si è affermata insieme a un «diritto dell'umanità», il sistema di tutela dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario: le ultime spinte a istituirla sono venute dai drammi di due Guerre Mondiali, dai genocidi della ex Jugoslavia e del Ruanda, dalle atrocità dei terrorismi e da altre guerre dimenticate. I detrattori hanno tentato di ridurre a “giustizia dei vincitori” l'esperienza del Tribunale di Norimberga del 1945, ma nel working in progress del diritto internazionale quel processo - condotto dando largo spazio alla difesa degli imputati - aveva in nuce i principi fondamentali della giustizia penale internazionale.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l'11 dicembre del 1946, approvò la Risoluzione 95/I per confermare i «Principi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga». Sono stati ribaditi nel 1950 dalla Commissione di Diritto Internazionale dell'ONU, che ha sancito come diritto consuetudinario il riconoscimento di una «responsabilità penale internazionale» a titolo personale per ogni individuo, inclusi Capi di Stato e di Governo, e l'obbligo per tutti gli Stati di prevenire e reprimere i crimini internazionali.
Il percorso della Carta delle Nazioni Unite, della Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio si è poi unito al sistema delle Convenzioni di Ginevra per giungere alle esperienze dei Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e il Ruanda, e al mandato delle Nazioni Unite per istituire finalmente una Corte Penale Internazionale permanente. Quel 17 luglio 1998 era una calda serata estiva e l'Assemblea, che nella sede della FAO aveva riunito i rappresentanti di 160 Nazioni, si stava per scogliere per un rinvio sine die su una bozza di trattato, frutto di anni di lavoro e di discussione tra giuristi e diplomatici. Venne invece la svolta: una fiaccolata organizzata dal movimento «Non c'è pace senza giustizia» e la pressione internazionale di molte Ong indipendenti indusse i diplomatici - molti già recatesi negli alberghi e recuperati dagli italiani - a passare alla votazione finale. Intorno alle ore 02.30, un lungo e fragoroso applauso salutò l'annuncio del presidente dell'assemblea Conso che proclamò l'adozione a maggioranza dello Statuto di Roma (https://www.icc-cpi.int/sites/default/files/2024-05/Rome-Statute-eng.pdf.). Erano stati raggiunti 120 voti a favore, superando la stessa maggioranza qualificata richiesta, pari a due terzi dei 148 Stati votanti. 21 Stati si erano astenuti e solo 7 avevano espresso il voto contrario: Stati Uniti, Cina, India, Israele, Turchia, Filippine e Sri Lanka. Anche la Russia aveva approvato lo Statuto, sebbene successivamente, con la sua involuzione, ne ritirò la firma. La Corte Penale Internazionale era comunque divenuta una realtà: si affermava finalmente la perseguibilità universale del genocidio, dei crimini di guerra, e dei crimini contro l'umanità ad opera di un tribunale permanente; si annunciava anche la competenza sul crimine di “aggressione” (la violazione con la forza della sovranità di uno Stato) definitivamente riconosciuta nel 2018. Secondo il principio di “complementarietà” si vincolano gli Stati a perseguire i responsabili, altrimenti la Corte è chiamata ad intervenire: non vi saranno più limiti per la punibilità, perché i crimini internazionali non sono soggetti a prescrizioni né a immunità, anche per i capi di Stato e di Governo. Lo Statuto di Roma ha raggiunto 124 ratifiche e anche se i critici sottolineano la mancanza di adesioni di nazioni importanti (come Stati Uniti, Russia, Cina, India, Turchia, Israele e Arabia Saudita) la Corte dell'Aja è funzionante e svolge con regolarità il suo mandato. Il percorso è in continuo avanzamento: se lo Statuto di Roma ha 124 Stati aderenti significa che ha conseguito la condivisione sull'idea che la giustizia internazionale rimane uno strumento fondamentale per affermare principi di diritto oltremodo necessari, specie di fronte alla destabilizzazione dell'ordine internazionale.
In questi mesi la Corte Penale Internazionale ha riaffermato il suo ruolo per denunciare le gravi violazioni allo Statuto di Roma e al diritto internazionale umanitario nella guerra in Ucraina e nella crisi di Gaza. Non sono mancate le critiche. Anche dall'Occidente sono stati rivolti attacchi contro i giudici dell'Aja, specie dopo l'annuncio dei procedimenti avviati per l'eccessiva reazione armata di Israele, ritenuto comunque vittima di un massacro terroristico senza precedenti. Fortunatamente è nato un movimento che si è schierato a favore dell'imparzialità della Corte: lo hanno fatto 93 nazioni che siedono nell'Assemblea degli Stati Parte, con in prima fila Canada, Bangladesh, Belgio, Irlanda, Afghanistan, Costa Rica, Cile, Germania, Francia, Mongolia, Messico e Nuova Zelanda.
E non è mancato il sostegno dei giuristi anche d'oltreoceano. Sulla rivista «Foreign Affairs», Oona A. Hathaway, docente di diritto internazionale alla Yale Law School, ha pubblicato due contributi dai titoli espliciti: «Guerra senza limiti: Gaza, l'Ucraina e il crollo del diritto internazionale», e «Non andare in guerra contro la Corte penale internazionale. L'America può aiutare Israele senza attaccare la CPI» (https://www.foreignaffairs.com/authors/oona-hathaway). La Hathaway ha sottolineato che la giustizia internazionale è lo strumento per affermare principi di diritto assoluti e accertare responsabilità, ma il suo completamento richiede la cooperazione degli Stati; ne consegue che non è la Corte in sé a non funzionare come si vorrebbe, ma è la volontà degli Stati ad essere manchevole. L'analista di Foreign Affairs si spinge perciò ad esortare gli USA a disciplinare con più rigore i principi di proporzionalità e di precauzione nel «Law Of War Manual» del Dipartimento della Difesa, e soprattutto a riconoscere la Corte Penale Internazionale: «Attaccare la CPI dimostra che gli USA sostengono la giustizia globale solo quando viene applicata ai loro avversari. Così facendo, suggerisce che l'impegno degli Stati Uniti per il Rule of Law si estende solo fino a quando il loro nudo interesse personale a breve termine lo consente. Non c'è modo più sicuro per erodere l'ordine giuridico globale».
L'appello ovviamente non può riguardare solo gli Stati Uniti: l'Italia, che ha dato le origini allo Statuto di Roma, potrebbe recuperare quel momento di condivisione per rilanciare la sua leadership nell'affermazione della giustizia penale internazionale. L'occasione è a portata di mano: la conclusione dell'anno di presidenza del G7; la cosiddetta «lega delle democrazie» che cerca di riavvicinare quel Global South pericolosamente irretito dalle convenienze e dal mistificato “multilateralismo” di potenze revisioniste e neo-imperiali come Russia e Cina. L'auspicio è che l'Italia presenti una Dichiarazione per riaffermare i principi della Corte Penale Internazionale e del Diritto Internazionale Umanitario. Rimangono strumenti essenziali contro la deriva disumana delle guerre, e per ristabilire l'ordine internazionale: con il diritto internazionale si può ancora decidere il futuro dell'umanità.

Maurizio Delli Santi
membro dell'International Law Association


Fonte: Maurizio Delli Santi
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