Circolo Esteri: Carlo Franza presenta “Figure Vocative” di Stefano Pizzi
12-11-2022 17:17 - Arte, cultura, turismo
GD – Roma, 12 nov. 22 – Il progetto artistico internazionale “Mondi – Nove”, ideato e diretto dal prof. Carlo Franza, vedrà la presentazione di “Figure vocative” di Stefano Pizzi al Circolo del Ministero degli Esteri a Roma venerdì 2 dicembre alle ore 18:00.
Alla presenza dell’artista milanese, la presentazione sarà introdotta da Laura Carpini, vicepresidente del Circolo degli Esteri, con la partecipazione del prof. Carlo Franza, storico dell’arte moderna e contemporanea; dell’amb. Umberto Vattani, presidente della Venice International University; dell’amb. Gaetano Cortese, autore di una pregevole collana di volumi dedicati alle ambasciate italiane all’estero. La mostra resterà aperta sino a domenica 15 gennaio.
Come scrive il prof. Franza nella presentazione dell’iniziativa artistica, nella sua esposizione Stefano Pizzi mostra ampiamente il riciclaggio di forme e immagini che forniscono le fondamenta di una nuova etica pop; e se taluni aspetti della sua new pop-art sono timbrati di particolari accenti surreali e d’assemblage, richiamando nomi della pittura americana come William Harnett, John Haberle e John Peto, il suo acceso e continuamente proclamato amore per la vita assume degli aspetti di resa all’edonismo autobiografico, portandosi verso quel costone dell’eccessivo piacere di raccontare e descrivere, aprendo squarci di esperienze meravigliose, contemporaneamente a vibranti retouchès.
Stefano Pizzi continua imperterrito a liberarsi dagli ostacoli della memoria, dell’associazione, della nostalgia, della leggenda, del mito, per avviare quella sua “arte ideografica” dove l’occhio errante del sogno restaura da un lato il concetto classico di bellezza e dall’altro puntelli di leggende fuori tempo. La sua pittura sembra presentire in tal modo che la civiltà raffinata che ha prodotto la sua pittura profonda, misteriosa, accesa, sognante, violenta ed elegante, ed anche mistica e sacrale, è finita o sta per finire.
Quel patrimonio iconografico che Pizzi da anni ci consegna e ci lascia vivere ha acquisito un’intensità metafisica, e se appena entra in profondità o appena può indaga l’effetto della luce e del colore, può invece autoesaltarsi in un’orgia di sottigliezze e di sensibilità frutto certo dei nostri anni e della nostra storia recente. Tra le tante rivoluzioni che hanno trasformato l’arte nel secondo novecento, il movimento Pop è quello che ha annullato definitivamente le distanze tra l’opera e il pubblico.
Stefano Pizzi procede seguendo uno schema ben preciso, isolamento visivo dell’immagine, assimilazione del linguaggio pubblicitario, ripetizione e uso di colori chiassosi. Il procedimento svela la vera natura della modernità, ovvero l’indifferenza, il materialismo, la manipolazione mediatica, lo sfruttamento economico, l’irrefrenabile consumismo, il divismo e la creazione di falsi bisogni e false aspirazioni nelle masse.
La semplicità delle immagini di Pizzi garantisce la loro immediata fruibilità. L’iterazione richiama inconfutabilmente la ripetitività delle immagini impiegata dalla cultura di massa per vendere merci e servizi. L’assimilazione al marketing dell’industria non si esaurisce nella riproposizione delle caratteristiche della pubblicità, ma diventa ancora più profonda nel momento in cui Stefano Pizzi utilizza le tecniche della produzione industriale stessa. L’operazione rende anonima la figura dell’artista nel processo produttivo, sottolineando così l’assurdità del completo distacco da ogni impegno emotivo. Non c’è più l’umanità, ma un’inesauribile catena di produzione di “cose” che vengono infinitamente riprodotte a scopi d’uso. L’arte di Pizzi non è soltanto critica alla società dei consumi (discorso che vale per la maggior parte degli altri artisti Pop e New Pop), ma anche attacco ai valori borghesi e all’establishment dell’Arte.
Con modalità dadaiste Pizzi svela la superficialità del sistema a cui appartiene, attraverso la manipolazione delle immagini e la trasformazione del sé in un personaggio al limite del grottesco. Sono simulacri la cui legge è regolata dal caso e, al tempo stesso, dalla necessità, che paiono rievocare modelli di esseri e cose. Sono immagini che riportano simulacri rari e sorprendenti. Vere meraviglie, quasi apparizioni miracolose. Risultati di un lavoro fatto di pazienza e abilità; attirano l’attenzione per l’irregolarità delle loro forme e per una certa significativa bizzarria del disegno e del colore. Sono seducenti per un’intima bellezza, infallibile, immediata, perfetta, esclude però l’idea della perfezione. Questa naturale e genuina beltà anticipa e supera il concetto stesso di bellezza, esso non può essere letto nel segno delle categorie classiche, e neppure come modo di essere dell’opera d’arte. L’opera viene dopo e così anche l’arte.
Questo racconto incantato di Stefano Pizzi sottolinea la sconfinata galleria di immagini, arboree, animali e minerali, di figure evocative, che non si lasciano ghermire dal tempo, ma si lasciano comunque lambire accarezzate da interminabili silenzi, da profondissima quiete. Di fronte a noi si disegna una vasta fenomenologia di eventi, atti a formare figure, esse introducono lo spettacolo reale distinto dal cosiddetto universo, si realizza questo miracolo dell’espressione, il sentimento delle cose. La forza del suo stile, pur nella semplicità della sua estetica, è capace di superare in fama persino le icone rappresentate.
Le immagini e le icone rivisitate da Stefano Pizzi sono anche un pezzo da museo; la sua lezione da Milano, città dove è vissuto e vive, e dall’Accademia di Brera in cui ha seminato insegnamenti superbi, svela il suo modus operandi che rivive quotidianamente nella maniera di molti altri artisti e nel nostro stesso approccio al mondo contemporaneo, conclude il prof. Carlo Franza.
Fonte: Carlo Franza
Alla presenza dell’artista milanese, la presentazione sarà introdotta da Laura Carpini, vicepresidente del Circolo degli Esteri, con la partecipazione del prof. Carlo Franza, storico dell’arte moderna e contemporanea; dell’amb. Umberto Vattani, presidente della Venice International University; dell’amb. Gaetano Cortese, autore di una pregevole collana di volumi dedicati alle ambasciate italiane all’estero. La mostra resterà aperta sino a domenica 15 gennaio.
Come scrive il prof. Franza nella presentazione dell’iniziativa artistica, nella sua esposizione Stefano Pizzi mostra ampiamente il riciclaggio di forme e immagini che forniscono le fondamenta di una nuova etica pop; e se taluni aspetti della sua new pop-art sono timbrati di particolari accenti surreali e d’assemblage, richiamando nomi della pittura americana come William Harnett, John Haberle e John Peto, il suo acceso e continuamente proclamato amore per la vita assume degli aspetti di resa all’edonismo autobiografico, portandosi verso quel costone dell’eccessivo piacere di raccontare e descrivere, aprendo squarci di esperienze meravigliose, contemporaneamente a vibranti retouchès.
Stefano Pizzi continua imperterrito a liberarsi dagli ostacoli della memoria, dell’associazione, della nostalgia, della leggenda, del mito, per avviare quella sua “arte ideografica” dove l’occhio errante del sogno restaura da un lato il concetto classico di bellezza e dall’altro puntelli di leggende fuori tempo. La sua pittura sembra presentire in tal modo che la civiltà raffinata che ha prodotto la sua pittura profonda, misteriosa, accesa, sognante, violenta ed elegante, ed anche mistica e sacrale, è finita o sta per finire.
Quel patrimonio iconografico che Pizzi da anni ci consegna e ci lascia vivere ha acquisito un’intensità metafisica, e se appena entra in profondità o appena può indaga l’effetto della luce e del colore, può invece autoesaltarsi in un’orgia di sottigliezze e di sensibilità frutto certo dei nostri anni e della nostra storia recente. Tra le tante rivoluzioni che hanno trasformato l’arte nel secondo novecento, il movimento Pop è quello che ha annullato definitivamente le distanze tra l’opera e il pubblico.
Stefano Pizzi procede seguendo uno schema ben preciso, isolamento visivo dell’immagine, assimilazione del linguaggio pubblicitario, ripetizione e uso di colori chiassosi. Il procedimento svela la vera natura della modernità, ovvero l’indifferenza, il materialismo, la manipolazione mediatica, lo sfruttamento economico, l’irrefrenabile consumismo, il divismo e la creazione di falsi bisogni e false aspirazioni nelle masse.
La semplicità delle immagini di Pizzi garantisce la loro immediata fruibilità. L’iterazione richiama inconfutabilmente la ripetitività delle immagini impiegata dalla cultura di massa per vendere merci e servizi. L’assimilazione al marketing dell’industria non si esaurisce nella riproposizione delle caratteristiche della pubblicità, ma diventa ancora più profonda nel momento in cui Stefano Pizzi utilizza le tecniche della produzione industriale stessa. L’operazione rende anonima la figura dell’artista nel processo produttivo, sottolineando così l’assurdità del completo distacco da ogni impegno emotivo. Non c’è più l’umanità, ma un’inesauribile catena di produzione di “cose” che vengono infinitamente riprodotte a scopi d’uso. L’arte di Pizzi non è soltanto critica alla società dei consumi (discorso che vale per la maggior parte degli altri artisti Pop e New Pop), ma anche attacco ai valori borghesi e all’establishment dell’Arte.
Con modalità dadaiste Pizzi svela la superficialità del sistema a cui appartiene, attraverso la manipolazione delle immagini e la trasformazione del sé in un personaggio al limite del grottesco. Sono simulacri la cui legge è regolata dal caso e, al tempo stesso, dalla necessità, che paiono rievocare modelli di esseri e cose. Sono immagini che riportano simulacri rari e sorprendenti. Vere meraviglie, quasi apparizioni miracolose. Risultati di un lavoro fatto di pazienza e abilità; attirano l’attenzione per l’irregolarità delle loro forme e per una certa significativa bizzarria del disegno e del colore. Sono seducenti per un’intima bellezza, infallibile, immediata, perfetta, esclude però l’idea della perfezione. Questa naturale e genuina beltà anticipa e supera il concetto stesso di bellezza, esso non può essere letto nel segno delle categorie classiche, e neppure come modo di essere dell’opera d’arte. L’opera viene dopo e così anche l’arte.
Questo racconto incantato di Stefano Pizzi sottolinea la sconfinata galleria di immagini, arboree, animali e minerali, di figure evocative, che non si lasciano ghermire dal tempo, ma si lasciano comunque lambire accarezzate da interminabili silenzi, da profondissima quiete. Di fronte a noi si disegna una vasta fenomenologia di eventi, atti a formare figure, esse introducono lo spettacolo reale distinto dal cosiddetto universo, si realizza questo miracolo dell’espressione, il sentimento delle cose. La forza del suo stile, pur nella semplicità della sua estetica, è capace di superare in fama persino le icone rappresentate.
Le immagini e le icone rivisitate da Stefano Pizzi sono anche un pezzo da museo; la sua lezione da Milano, città dove è vissuto e vive, e dall’Accademia di Brera in cui ha seminato insegnamenti superbi, svela il suo modus operandi che rivive quotidianamente nella maniera di molti altri artisti e nel nostro stesso approccio al mondo contemporaneo, conclude il prof. Carlo Franza.
Fonte: Carlo Franza