21 Gennaio 2025
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Baerbock-Al-Jolani: il falso problema della stretta di mano

05-01-2025 15:36 - Opinioni
GD - Roma, 5 gen. 25 - Da diverse ore sulla carta stampata, in televisione, sui canali social imperversa la vicenda della mancata stretta di mano alla ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbok da parte del leader siriano Ahmadal-Shara', precedentemente noto col nome di battaglia di Abu Mohammed al-Jolani, mentre la riceveva, insieme con l'omologo francese Jean-Noël Barrot, nel palazzo presidenziale, in occasione della loro visita ufficiale a Damasco.
Si è gridato allo scandalo, interpretando il comportamento di al-Shara' come segnale dell'orientamento che la nuova dirigenza siriana assumerà nei confronti delle donne.
Tuttavia corre l'obbligo di alcune puntualizzazioni, doverose soprattutto quando si maneggiano argomenti sensibili, come la parità di genere e il cerimoniale diplomatico, che richiedono un'analisi rigorosa e scevra dal pregiudizio o dall'ideologia.
Chiunque frequenti musulmani osservanti, anche non radicali, sa che gli uomini non stringono mai la mano ad una donna diversa dalla propria moglie, per una forma di rispetto imposta dalla religione.
Così è capitato in questa occasione, quando il saluto del leader siriano è consistito in un lieve cenno del capo con la mano portata al cuore, secondo il costume corrente. Costume che, d'altro canto, appartiene anche ad altre culture o religioni: gli ebrei ortodossi seguono la medesima regola e lo stesso rabbino non compie mai quel gesto che appare generalmente scontato, a volte banale, e consistente nel tendere la mano o accettarla da una donna non coniuge o consanguinea.
Peraltro, osservando il video dell'incontro incriminato, si apprezza immediatamente che, nel posizionamento degli ospiti, alla Baerbock è stata riservata la poltrona alla destra dell'ospite, cioè quella di maggior rilievo: orbene, che sia stato seguito il protocollo dell'Unione Europea, secondo il quale l'ordine delle precedenze fra gli Stati è stabilito sulla base della denominazione ufficiale degli stessi nella loro lingua originale (sicché Bundesrepublik Deutschland precede République française), o che sia stato preso in considerazione l'ordine alfabetico dei cognomi dei due Ministri (in effetti, il nome francese Barrot è successivo a Baerbock), o ancora che, per valutazioni geopolitiche, si sia voluto accordare un miglior trattamento alla Germania (la quale, si ricorda, ha accolto, tra il 2015 e il 2016, circa 1,2 milioni di profughi siriani), ipotesi, tale ultima, altamente improbabile, in ogni caso i fatti attestano che, da un punto di vista protocollare, non c'è stata alcuna scorrettezza o scortesia diplomatica e men che meno c'è stata discriminazione.
Tra l'altro, la stessa Baerbock ha dichiarato alla stampa che non si aspettava nulla di diverso da quanto accaduto e che il suo omologo francese, trovandosi in piena sintonia nel non condividere certe posizioni, non ha mostrato alcuno slancio nell'accogliere la mano tesa del leader siriano.
Quello che invece è sfuggito ai più, essendo questione piuttosto tecnica ma interessante sotto il profilo della gestione delle relazioni internazionali, è stata la dichiarazione dell'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Unione Europea, Kaja Kallas, la quale aveva affermato che i due Ministri in visita a Damasco avrebbero agito in rappresentanza della UE e della Kallas medesima.
Va rilevato che la rappresentanza esterna dell'Unione Europea in ambito PESC è compartita fra Presidente del Consiglio Europeo ed Alto Rappresentante, ciascuno dei quali incontra le personalità straniere al proprio livello gerarchico: quindi, in linea di massima, capi di Stato per il presidente del Consiglio Europeo, capi di governo per l'Alto Rappresentante.
Il fatto che la Kallas non si sia recata in Siria di persona si spiega con la circostanza che Ahmad al-Shara' sostiene un governo di transizione non riconosciuto da alcuno degli Stati membri dell'Unione: pertanto, si è ritenuto di dover individuare degli “inviati speciali”, di rango superiore al livello dei diplomatici sia degli Stati membri sia dell'UE (che già dalla metà dello scorso dicembre erano entrati in contatto con i ribelli subentrati ad Assad), che tuttavia marcassero la distanza rispetto al titolare del pieno potere di rappresentanza.
Posto che il presidente semestrale del Consiglio UE, dopo il Trattato di Lisbona, ha perso quasi integralmente qualsiasi attribuzione in ambito PESC, la scelta è ricaduta, altro aspetto significativo, su Francia e Germania, per motivazioni eminentemente storiche.
Si ricorda, infatti, che la Francia esercitò il mandato ricevuto dalla Società delle Nazioni nel 1920 sul territorio che corrisponde agli attuali Siria e Libano, fino al 1946 e, da allora, ha sempre mantenuto ottimi rapporti con il Paese (non a caso, Chirac fu l'unico capo di Stato occidentale presente ai funerali di Hafiz al-Assad, nel 2000), almeno fino alla guerra civile scoppiata nel 2011. Va detto poi che la Francia è stato senz'altro il Paese europeo più attivo nel combattere l'ISIS anche in territorio siriano.
Dal canto suo, la Germania non si è mai esposta eccessivamente, preferendo gli strumenti del soft power, compresa l'accoglienza dei profughi siriani, come sopra ricordato, al coinvolgimento militare, salvo una limitata partecipazione alla coalizione internazionale contro lo Stato islamico in termini di supporto logistico più che bellico in senso stretto.
Pertanto, piuttosto che puntare l'attenzione su aspetti irrilevanti, è più stimolante riflettere sulla presenza a Damasco di due Stati europei che, pur tentando di perseguire il medesimo obiettivo, cioè la pacificazione dell'area mediorientale, anche a fronte di attentanti terroristici sul proprio territorio, hanno tenuto, nel corso della guerra in Siria e contro Da'esh, atteggiamenti distanti: la Francia seguendo la consueta linea politica ispirata al protagonismo, ma anche sentendosi obbligata ad agire sulla base dei vecchi legami di sovraordinazione e, probabilmente, dei sensi di colpa per il passato coloniale; la Germania temendo di essere considerata aggressiva, dati i trascorsi storici. Nel mezzo, gli altri Stati membri.
C'è da augurarsi che, quanto prima, la gestione delle relazioni possa tornare pienamente nelle mani delle istituzioni europee, senza che i singoli Stati, ancorché considerati emissari della UE, continuino ad esercitare un egocentrismo nocivo per il rafforzamento del ruolo internazionale dell'Unione europea, indispensabile più che mai in questa fase storica.
In conclusione, ciò che conta realmente è uscire dalla logica degli interessi statali o, più pragmaticamente, renderli funzionali e conciliarli con l'interesse comune, supportando il ruolo dell'Unione Europea quale attore unico, che sappia assumere delle posizioni di fermezza e, allo stesso tempo, di apertura negoziale. Per altro verso, non è certo da una mal interpretata vicenda che il governo siriano pro tempore deve essere giudicato, né per l'oggi né in prospettiva, ma dal reale spazio e dal concreto peso che sarà riservato alle donne, in termini di presenza nella vita civile e politica del Paese e del riconoscimento ed effettivo godimento di quei diritti per i quali tutte e tutti ci battiamo.

Roberta Lucchini
Cultrice di Diritto diplomatico-consolare
Sapienza Università di Roma
già Coordinatrice Dipartimento Studi e Formazione
Istituto Diplomatico Internazionale


Fonte: IDI
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