Accademia Cerimoniale: il vestiario nelle sedi pubbliche non riguarda eleganza, etichetta o galateo, ma è regolato dal cerimoniale
19-07-2019 17:18 - Opinioni
GD - Roma, 19 lug. 19 - In questa calda estate sono comparsi articoli che hanno sottolineato il tema dell’abbigliamento nelle sedi parlamentari e istituzionali, sollevato da alcuni membri del Parlamento, quando il rialzo termico estivo ha indotto alcune parlamentari ad alleggerirsi in modo giudicato eccesivo. L’articolo più acuto è stato quello di Francesco Verderami sul “Corriere della Sera” del 16 luglio.
L’Accademia del Cerimoniale, che ha come motto “La forma è sostanza”, si è spesa più volte per ricordare che il vestiario nelle sedi pubbliche non riguarda l’eleganza, l’ etichetta o il galateo, ma piuttosto che esso è regolato dal cerimoniale. Cioè da quell’insieme di regole che definiscono il comportamento istituzionale nelle sue varie espressioni, incluso l’abbigliamento.
Ora che l’argomento è tornato di attualità complice un consistente caldo, l’Accademia del Cerimoniale sottolinea che l’abbigliamento di chi esercita funzioni pubbliche non è “libero” e non è rimesso al proprio personale stile di vita o alla moda del momento o, come in questo caso, al meteo e alle temperature. Infatti, chi esercita funzioni pubbliche deve rispettare, in qualunque occasione ed in ogni condizione, le forme pubbliche, iniziando a mostrarsi disponibile a ciò proprio indossando abiti che sottolineino il livello della funzione esercitata e la dignità del luogo ove la si esercita.
In molti casi per alcune attività pubbliche è richiesta addirittura una divisa. Ma anche coloro che non sono chiamati ad indossare un abito codificato, ai cittadini devono apparire impegnati a presentarsi con una immagine decorosa e in alcuni casi addirittura solenne.
L’editorialista Verderami ha ricordato come una fuga dai rituali di vestiario si era già avuta nel ’68 quando abbandonare giacca e cravatta era espressione esterna di una nuova libertà. E già allora si era dovuto combattere nelle sedi istituzionali per mantenere un adeguato livello di formalità degli abiti utilizzati dai parlamentari.
Ma, giustamente, ha sottolineato che lo scivolamento sessantottino era ideologico, mentre quello odierno è soltanto dovuto a trascuratezza, sciatteria e ignoranza di regole.
La deriva odierna dello stile può essere anche conseguenza di una scelta voluta per far apparire il politico protagonista più prossimo all’elettore, del quale cerca di calamitare il consenso anche attraverso una contiguità dell’apparenza. Questa ipotesi, che si vede avverata oggi anche ad alti livelli istituzionali, pone in evidenza una colpa ben più grave della semplice sciatteria indicata da Verderami, perché denota una scelta consapevole di violazione delle regole, sebbene soltanto formali, che risulta allarmante per la democrazia, nella quale la forma è sempre sostanza.
Negli episodi recenti si è poi introdotta anche la querelle di “genere” per le critiche rivolte alle sole parlamentari donna, con atteggiamento giudicato, per tal fatto, sessista. Può non piacere, ma anche dimostrare di poter soffrire il caldo è una delle capacità connesse al proprio ruolo istituzionale. Fa parte del mestiere del parlamentare e, in generale, di qualsiasi figura pubblica di rilievo. Si è pagati anche per questo. D’altronde si può immaginare che il Papa dica “oggi fa caldo, mi spoglio di alcuni miei paramenti?”.
In conclusione, va ribadito che lo stile istituzionale, anche nell’abbigliamento, deve essere rispettato da tutti coloro, uomini o donne, che esercitino funzioni pubbliche, ma anche da quanti svolgono semplici servizi pubblici, se questi li espongono al contatto con il cittadino, il quale può ben pretendere di non essere trascurato.
di Massimo Sgrelli
presidente del Comitato scientifico dell’Accademia del Cerimoniale Protocolo Academy.
Capo del Dipartimento del Cerimoniale di Palazzo Chigi per un ventennio, docente e formatore, autore del più noto manuale di protocollo contemporaneo “Il Cerimoniale” (Di Felice Editore).
Fonte: Massimo Sgrelli