80° Anniversario Liberazione: i ‘valori’ che superano i revisionismi
25-04-2025 00:05 - Opinioni


GD - Roma, 25 apr. 25 - Nell'80° Anniversario della Liberazione non è il caso di alimentare polemiche revisioniste ad uso del dibattito politico. Storici e intellettuali hanno già ampiamente interpretato la Resistenza nelle metafore della “morte della Patria” (Galli della Loggia), della “nazione allo sbando” (Aga Rossi), o ancora della “guerra civile” (Pavone, Montanelli, Cervi) e del “sangue dei vinti” (Pansa si soffermò sulle atrocità e sulla giustizia sommaria dei partigiani). L'effetto finale è una sorta di damnatio memoriae dove il lascito per le generazioni - specie quelle private di solide fondamenta culturali - potrebbe risultare solo il distorto ricordo di uno scontro tra fazioni, senza distinguere da che parte sta la ragione e dimenticando il significato della Resistenza: la scelta responsabile dell'avanguardia di un popolo che, pur con diversità ideologiche e sociali (a combattere si ritrovarono insieme contadini, operai, borghesi, militari di ogni grado, intellettuali e aristocratici), si unì nella lotta al nazi-fascismo per ritrovare la libertà e la dignità di una Nazione civile.
Fonte: Maurizio Delli Santi
È quindi necessario chiarire che il tributo verso quanti si sacrificarono in quel periodo storico non sarà mai soddisfatto. Ci furono gli oppositori perseguitati o uccisi dal regime come Gobetti, don Minzoni, Matteotti e i fratelli Rosselli, poi gli italiani che - anche tra le istituzioni compromesse - nonostante il clima di persecuzione protessero gli ebrei, per arrivare all'8 settembre che vide scelte decisive: il martirio a Cefalonia dei soldati della Divisone Acqui che l'esercito nazista voleva disarmare, gli internati in Germania che rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò, i sacrifici come quello del vice brigadiere Salvo d'Acquisto che salvò 22 ostaggi dalla rappresaglia del nemico, che invece fu atroce per i 335 martiri delle Fosse Ardeatine.
Ci furono le deportazioni a Fossoli, Bolzano e gli stermini della Risiera di San Sabba, a Marzabotto e a Sant'Anna di Stazzema. Quanto al movimento dei partigiani, il racconto non si compie neppure nella articolata ricostruzione della recente Storia della Resistenza di Marcello Flores e Mimmo Franzinelli.
I capitoli dedicati al Lascito morale della Resistenza (il focus è sulle lettere scritte sul punto di morte dai resistenti, ove ricorrono le parole «Patria», «libertà», «onore») e alla Liberazione ‘modello' Genova documentano il tratto popolare, ma anche ‘patriottico', specificamente nazionale della Liberazione (non fu elitaria, e non avvenne solo per merito degli Alleati) che anche il Presidente della Repubblica ha voluto rimarcare nell'intervenire alle celebrazioni del capoluogo ligure in questo 80° Anniversario. L'insurrezione di Genova fu preparata in un momento in cui il Comitato di Liberazione Nazionale non condivideva del tutto le direttive degli Alleati. Per gli anglo-americani il movimento partigiano doveva limitarsi a colpi di mano e sabotaggi senza che diventasse un esercito di liberazione nazionale 'istituzionalizzato' (preoccupavano le rappresaglie sulla popolazione, ma anche la Resistenza greca che sfuggiva al controllo).
Nonostante la posizione di Churchill che guardava con attenzione al fronte italiano per la progressiva avanzata dell'Armata Russa, nell' inverno del 1944 gli Alleati considerarono prioritario il fronte francese: a giugno 1944 sbarcarono in Normandia e nell'agosto in Costa Azzurra invece che in Liguria. Il ‘proclama Alexander' aveva infatti disposto la sospensione dell'offensiva contro la linea gotica e delle azioni dei partigiani a ridosso del fronte appenninico. Il CLN aveva un'altra prospettiva: era preoccupato che potesse affievolirsi la spinta del movimento che puntava al consenso del popolo e al risveglio della coscienza nazionale.
Così mentre le insurrezioni di Napoli, Roma e Firenze (1943-1944) avevano visto la liberazione con la spallata decisiva degli anglo-americani, Genova dovette attendere l''insurrezione generale' proclamata dal CLN il 25 aprile del 1945: gli alleati avevano riaperto il fronte del Tirreno e la sollevazione contro l'esercito tedesco fu netta.
Le formazioni partigiane, nelle loro varie componenti, ebbero la capacità di far insorgere almeno 20.000 genovesi sino a liberare la città «con proprie forze», tanto che «la resa tedesca avvenne nelle mani del CLN» prima che giungessero gli Alleati, e il generale tedesco Meinhold dovette riconoscere la propria sconfitta davanti a un operaio, Remo Scappini. Nella Breve storia dell'insurrezione di Genova (1960), Paolo Emilio Taviani, esponente dei democratici cristiani nel CLN genovese, ricorda che 300 morti e 3000 feriti furono il contributo di sangue che la città ligure pagò per la sua insurrezione, «ma fra tutte le morti di una guerra inutile e rovinosa, queste sono state certo le più preziose, perché hanno riscattato l'onore d'un popolo, che sembrava smarrito nelle ore infauste dell'8 settembre».
Lo spirito di quei tempi dovrebbe ispirare ancora oggi a non cedere sulla difesa della democrazia, dei diritti e della libertà.
Maurizio Delli Santi
membro dell'International Law Association
Fonte: Maurizio Delli Santi